Per te ho ucciso (1948) di Norman Foster

Nella Londra del dopoguerra, l’americano Bill Saunders (Burt Lancaster) uccide accidentalmente un barista nel corso di una lite e, durante la fuga, si rifugia nell’appartamento di una giovane infermiera, Jane Wharton (Joan Fontaine).

La mattina successiva, la ragazza si reca al lavoro in ospedale, mentre l’uomo dopo qualche ora lascia l’appartamento promettendo alla donna che non si farà più vivo. In seguito, però, lui inizia a frequentarla spinto da una sorta di riconoscenza per il fatto che lei non lo abbia denunciato, mentre la ragazza è combattuta dal carattere dell’uomo, che cela al tempo stesso un animo docile ma anche rabbia e violenza repressa, scaturite dall’essere stato prigioniero in un campo di concentramento nazista durante la guerra.

Tra i due nascerà un forte sentimento, ma la loro relazione sarà contrastata da un terzo e scomodo personaggio (Robert Newton), collegato all’omicidio del barista avvenuto mesi prima.

Un buon noir saldamente diretto da Foster, Per te ho ucciso è una pellicola che punta tutto sulla forza dei due interpreti, capaci di costruire una perfetta alchimia grazie alle sostanziali differenze dei personaggi da loro impersonati, che si incontrano casualmente ma condividono in seguito scelte e destino, anche sbagliati. Va evidenziata soprattutto la prova di Burt Lancaster, che qui raffigura egregiamente il ritratto di un uomo affetto da sindrome post-traumatica, il quale però cerca con tutte le sue forze di guardare a una vita migliore, sforzandosi di viverla nonostante tutto.

Tutti questi elementi sono evidenziati da un comparto tecnico all’altezza, in cui spiccano la fotografia di Russell Metty, capace di giocare con le ombre dei vicoli londinesi e di alimentare così l’atmosfera noir della pellicola, e le musiche del sempre ottimo Miklos Rozsa.