Il terrore corre sul filo (1948) di Anatole Litvak

Lena Stevenson (Barbara Stanwyck), malata e immobilizzata a letto, nonchè sola nella sua casa di New York, ascolta per puro caso una conversazione telefonica tra due uomini, riguardante un omicidio da compiere la sera stessa. Ne nasce una sequela di telefonate, dove la donna non solo verrà a conoscenza che il marito Henry (Burt Lancaster) è implicato in affari loschi, ma che la misteriosa conversazione ascoltata non riguardava una estranea.

Uno dei più tesi e avvincenti thriller degli anni ’40, magistralmente sorretto dalla Stanwyck, è in realtà anche una parabola sulla borghesia americana e sulle frustrazioni della American Way of Life, racchiuse fortemente nella figura del marito interpretato da Lancaster. In questo quadro, Litvak costruisce una pellicola poggiata su due livelli, in cui i flashback giocano un ruolo chiave nel decostruire la tranquilla e illusoria vita di Lena Stevenson, portandola a conoscere invece la cruda realtà del coniuge Henry e di un matrimonio non così perfetto.

Fortemente debitore dell’ottimo lavoro del direttore della fotografia Sol Polito, che si fa notare per il suo utilizzo delle ombre e dell’atmosfera notturna che permea l’intera pellicola, Il terrore corre sul filo è ancora oggi un lungometraggio che rimane impresso per l’intelligente costruzione dei personaggi, la sceneggiatura a orologeria e per la memorabile sequenza finale senza alcuna speranza.

Carlo Coratelli