Strada sbarrata (1937) di William Wyler

In una piccola strada dell’East Side di New York, dove i palazzi dei ricchi svettano a pochi passi dalla miseria dei poveri e dell’America provata dalla Grande Depressione, si incrociano le vite di un gangster latitante tornato nel suo vecchio quartiere (Humprey Bogart), di un giovane e idealista architetto (Joel McCrea) che si guadagna da vivere con pochi lavoretti, e di una ragazza che deve badare al fratello minore dopo essere rimasta disoccupata (Silvia Sidney).

Tratto da una piece teatrale di enorme successo a Broadway, e presentato come un ritratto quasi neo-realista dell’America dei sobborghi, Strada Sbarrata di William Wyler rimane una pellicola che, a oltre 80 anni di distanza, sfugge all’etichetta di semplice noir grazie all’intelligenza del regista nel tratteggiare un quadro generale più profondo, sociale e intimista.


A Wyler, infatti, non interessa il confronto finale tra l’onesto lavoratore (McCrea) e il perfido gangster impersonato da Bogart, (qui in uno dei suoi primi ruoli di rilievo dopo La foresta pietrificata) ma scavare a fondo nelle contraddizioni di un paese diviso nettamente tra ricchi e poveri, e in cui riuscire a intraprendere una vita che non sia rubare o uccidere è la sfida principale.

La “strada sbarrata” del titolo, non è solo quella di un semplice profilo toponomastico, ma anche quella delle aspirazioni, dei sogni e della voglia di rinascita messa a dura prova dalle intemperanze di un destino beffardo, che però si può in qualche modo piegare a proprio favore. In questo contesto, la figura di Joel McCrea gioca un ruolo fondamentale, diventando nel finale l’ago della bilancia che ridisegna le speranze della sfortunata Drina Gordon (Sidney) e del di lui fratello Tommy.

Candidato all’epoca per quattro Oscar, tra cui la nomination come migliore attrice non protagonista a Claire Trevor per un ruolo di pochi minuti, Strada Sbarrata è un piccolo capolavoro dimenticato del cinema hollywoodiano degli anni ’30, sorretto non solo da un grande cast (tra cui vi sono il gruppo di ragazzi dei Dead End Kids, qui al loro esordio), ma anche dalla magistrale fotografia di Greg Toland, capace di dare luce al buio della povertà e del degrado.